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7 febbraio 2010 7 07 /02 /febbraio /2010 22:28

congiunto                   Donatello                              J. della Quercia           J.P. dalle Masegne               scuola senese

Nelle chiese del Quattrocento la brezza delle preghiere bisbigliava in mezzo a un bosco di Madonne e di Santi di legno. In quei manufatti policromi le epoche che seguirono avrebbero scorto i documenti di un'arte minore, legati alla devozione popolare; eppure Jacobello e Pierpaolo dalle Masegne, Jacopo della Quercia, Giovanni Pisano, Donatello, Brunelleschi e lo stesso Michelangelo non disdegnarono di por mano a un bel tronco di quercia o un vigoroso noce.
Il legno, in una zona povera di marmi e di pietre da intagliare, costava poco; era un materiale economico e che si prestava ad essere lavorato senza troppa fatica, con grande risparmio nelle spese di trasporto e di sbozzatura. Il tronco di una robusta quercia, segato nelle giuste dimensioni, già conteneva in sé  l'embrione di  una figura umana in piedi, mentre la colla e i chiodi permettevano di comporre statue e gruppi di più pezzi senza che  le giunture si vedessero o compromettesero la solidità e la manovrabilità dell'immagine. A ciò bisogna aggiungere che, se assai diffusa era la consuetudine di ravvivare con colori e con oro le statue di marmo, per quelle di legno la policromia era, oltre che più agevole da eseguirsi, assolutamente indispensabile e andava praticata su tutta la superficie della scultura, Questa assumeva un aspetto più gaio e attraente e, soprattutto più "realistico",  che finiva per guadagnarle la simpatia e la confidenza dei fedeli.
Una Madonna con le sue vesti rosse e azzurre, con le sue guance rosate, con i suoi occhi dalle brune pupille amorosamente riguardanti, con le sue labbra fresche e vivaci era più vicina all'umile popolo e ne stimolava l'ingenua fede e gli amorosi trasporti molto più di un simulacro di splendente candore marmoreo: col suo aspetto reale di giovinetta proponeva un ideale di bellezza artisiticamente forse meno elevato, ma tanto più accessibile alle anime semplice e devote della gente dei campi.

                
             
 

 

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23 gennaio 2010 6 23 /01 /gennaio /2010 18:59
UNA SPLENDIDA QUADRERIA MILANESE:
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21 gennaio 2010 4 21 /01 /gennaio /2010 17:58

S.Sebastiano (1)

PREMESSA AD UN SAN SEBASTIANO


Credo che nella fantasia e nelle aspettative di chiunque si occupi d’arte, dall’operatore di mercato allo studioso, dal conoscitore al direttore di Museo, non vi sia solo lo scopo di studiare, di trattare, di valutare quegli autori che hanno fatto la vera storia della pittura ma, anche e soprattutto, di avere la fortuna di imbattersi in un’opera sconosciuta   che per qualità, stile e originalità meriti di essere  attentamente  studiata, analizzata e inquadrata nel suo contesto storico e artistico, il più attendibilmente possibile. 

E’ il problema del riconoscimento e della attribuzione. Consegnare un’opera al suo autore ed immetterla, quindi,  nel suo “habitat” culturale vuole dire, per lo studioso, quasi ripensarla, ricomporla, praticamente ridipingerla e, alla fine,  ridarle una nuova vita.
Così quando ti trovi di fronte ad una tavola come questa che sembra originata dal nulla, quasi ponendosi come apparizione miracolosa, ogni circostanza storica, stilistica, personale che la riguarda parla più intimamente al tuo sentire e forte è l’emozione che ti attanaglia. E quando al termine, scartate una a una tutte quelle “immortali paternità”  a cui avresti voluto legare l’Opera (che peraltro per la sua intrinseca qualità e bellezza essa meritava), ti devi rifugiare in uno dei tanti “Maestri”  anonimi dell’epoca, ti pare proprio di averLe fatto un grave torto.

Misteriosa figura quella del Maestro degli occhi spalancati: incerta la sua origine, incerte le tappe del suo apprendistato, misteriosi i suoi spostamenti, improvvise ed inspiegabili certe tendenze stilistiche (italiane e fiamminghe) a cui sembra riferirsi e poi, soprattutto, pittore rarissimo le cui opere sono state spesso martoriate dagli eventi (affreschi ), mutilate (pale, trittici ecc.), distrutte da terremoti e incendi (palazzi e chiese).
Qui è raccolta una breve traccia del lungo percorso di ricerca nella pittura della seconda metà del Quattrocento: dai “fondi oro” degli ultimi “primitivi”, ai Maestri del “gotico internazionale”, dai grandi fiamminghi scesi in Italia, ai precursori dell’ ormai imminente Rinascimento.

L’epicentro dello studio è stata Ferrara,  la Corte estense e gli affreschi del Palazzo Schifanoia a cui senz’altro il Maestro ha notevolmente contribuito.

 Il lungo percorso di ricerca ha spaziato nella pittura della seconda metà del Quattrocento: dai “fondi oro” degli ultimi “primitivi”, ai Maestri del “gotico internazionale”, dai grandi fiamminghi scesi in Italia, ai precursori dell’ ormai imminente Rinascimento e  vastissima è stata la zona italiana e straniera presa  in considerazione.
 Di notevole interesse,  non solo artistico, è risultato inoltre il raffronto  fra le varie  tavole raffiguranti il San Sebastiano nell’interpretazione dei maggiori pittori di quel periodo fino al tardo Rinascimento: l’iconografia spazia da quella tradizionale del martirio a quella della cristianizzazione del mito ionico di Apollo per finire alla tematica prevalente all’epoca. 
Il Santo che si erge solo contro il flagello della peste, a intercettare con la sua bellezza androgina nuvole e nuvole di frecce (ciascuna col suo valore simbolico, come d’altronde lo erano quelle mortifere scoccate dal dio Apollo) per fare scudo, con il suo corpo eburneo, alle genti indifese.

A questa ultima versione si rifà la nostra tavola:  con una varietà di ritmi e allegorie , con note coloristiche così squillanti (a cui non può essere estranea l’esperienza della tecnica  della pittura ad olio) e con una figura piena di “serena malinconia”, intimamente legata al paesaggio, come se uomo e natura vivessero, nella luce di un giorno finalmente sereno, la stessa estasiante esperienza.

E’ la prova che questo Maestro, chiunque esso fosse e da dovunque provenisse, aveva intuito che l’intesa tra la visione italiana e la visione fiamminga, impossibile sul piano teorico ed intellettuale, poteva benissimo compiersi sul piano comune del sentimento religioso che scaturisce dalla natura.

 

                  
"Le donne, i cavallier, l'arme e gli amori...."  così Ludovico Ariosto canterà
 quel mondo pochi anni dopo...!    

 

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20 gennaio 2010 3 20 /01 /gennaio /2010 22:23
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20 gennaio 2010 3 20 /01 /gennaio /2010 18:27
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20 gennaio 2010 3 20 /01 /gennaio /2010 18:22

M.occhi sp
M.occhi sp
di sandro

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20 gennaio 2010 3 20 /01 /gennaio /2010 18:05
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20 gennaio 2010 3 20 /01 /gennaio /2010 17:59
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20 gennaio 2010 3 20 /01 /gennaio /2010 17:54
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20 gennaio 2010 3 20 /01 /gennaio /2010 17:46
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Presentazione

  • : Alessandro Grilli
  • : La mia quadreria: opere di artisti dei secoli passati, particolarmente significative anche se poco conosciute.
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